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Senza partito. Obbligo e diritto per una nuova pratica politica

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La verità è una, la giustizia è una. Gli errori e le ingiustizie variano all'infinito." Nei tumulti del "secolo breve", Simone Weil era chiara, quasi profetica sulle sorti non certo felici che avrebbero atteso la democrazia qualora la si fosse idealmente ridotta a una forma vuota, misto di burocrazia, rancore e legalismo. Una democrazia fatta di procedure prive di sostanza e, quindi, di giustizia. Giustizia, che per la Weil non precede ogni forma di rappresentanza o consenso, ma costituisce l'origine propriamente politica della comunità. Il partito politico, piccolo mostro totalitario capace di mascherare da fini i mezzi, le appariva già allora come sintomo e causa di un decadimento delle idee forti di giustizia, politica, comunità. Per uscire dalla crisi, suggerisce la Weil, bisogna "radicare" le nostre buone pratiche nell'idea di giustizia davvero comune. Quella giustizia che racchiude in sé l'intero tragitto storico e di significato di tre altre parole: libertà, uguaglianza, fratellanza. Parole svilite e tradite proprio da quei monopolisti del consenso che la Weil identificava con i partiti politici. I tre testi, che qui proponiamo come una lezione imprescindibile a cui guardare, indicano a noi una strada quanto mai necessaria, oggi: quella di una fase costituente per una politica che si voglia davvero nuova e motore di cambiamento nella libertà.
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