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Alla conquista del Brasile. 1893, sulla rotta degli emigranti
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Fuori delle stazioni, restaurants improvvisati portanti nomi italiani, spropositati, ma pieni di buone intenzioni. Accomodate dietro a piccoli banchi, contadine dal tipo veneto e ragazzi dietro assolutamente nostri, vendevano aranci e limoni, gridando la merce, come nelle sagre di campagna, senza curarsi di usare, almeno per pudore, un tantino di brasiliano per quanto contraffatto. L'illusione diventava allora completa. Fra i passeggeri, il tipo più comune, che scendeva, montava, spariva, si rinnovava, chiacchierava, o dormiva, era quello del fazendero. Cappello di feltro basso, giacca larga, panciotto con tanto di catena d'oro, calzone chiaro e un grande ombrello fra le mani, faccia rossa un po' abbrustolita dal sole, e barba grigia, quasi bianca, in contrasto col vigore ancora giovanile dell'organismo. Spedire caffè, ricevere lavoratori, contrattare, fare qualche acquisto, e spingersi a Rio o a San Paolo per lasciare nelle case da gioco le larghe banconote da 200.000 reis, ecco le cause di quell'andirivieni quotidiano lungo la linea, che segna l'arteria principale del movimento brasiliano.
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