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All'ordine del giorno è il terrore. I cattivi pensieri della democrazia
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Dacci oggi il terrore quotidiano. Il terrore che è il rovescio della democrazia, il suo doppio segreto e insostituibile, il suo miglior nemico. Perché nulla come il terrore genera asserti politici, suscita desideri, costruisce identità e immaginario. Guerriglieri, folli isolati e fanatici religiosi, regimi autoritari che praticano la violenza di Stato e regimi democratici che ordinano bombardamenti o torture, aerei dirottati, camion dirottati, spari all'impazzata nei luoghi pubblici: sono il metronomo del presente, la mitologia giornaliera di una specie che si nutre di simboli come quella umana. Eppure nessuno si definisce terrorista: il terrorismo è sempre la violenza dell'altro. Eppure nessuna definizione permette di carpire la natura del terrore, perché non bastano la morte o la paura a distinguerlo da altre forme di violenza, e non basta il suo intento prettamente comunicativo, se è vero che in ogni violenza politica la vittima è il messaggio. Al centro del terrore c'è un vuoto, pronto a ricevere da noi impotenza e paura, violenza e desiderio, per restituire immaginario, identità e fantasmi. In una parola: mito. La letteratura cala i personaggi in quel vuoto. Non spiega cos'è o come funziona: ci mostra cosa succede ad abitarlo. Non chiarisce com'è fatto il terrore ma ci permette di profanare la sua sacralità, di farne esperienza lasciandoci indossare i panni del mostro. È quello che fanno gli autori attorno a cui si snoda "All'ordine del giorno" è il terrore, da Artaud a Ballard, da Dostoevskij a Updike, da Sade a Ellroy. Attraverso i loro testi, Daniele Giglioli decostruisce la più potente macchina narrativa contemporanea, mostrando come tra i suoi fumi sulfurei si celi l'impotenza del soggetto moderno, la fragilità dei nessi sociali, l'estromissione dell'individuo dalla sfera pubblica. Il terrorista è uno di noi: uno spettatore, un escluso. Questo sembra dirci il killer per caso, l'emarginato Oswald in "Libra" di Don DeLillo, finalmente inquadrato dalla telecamera nel momento della morte: «Requisito nel cielo senza atmosfera della gloria mediatica, il suo quarto d'ora di celebrità durerà in eterno».
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