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Credere, distruggere. Gli intellettuali delle SS

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Il nazismo, in Germania, non fu soltanto un movimento guidato da folli in preda a deliri di onnipotenza. Fu anche una poderosa macchina burocratica che, in quanto tale, doveva servirsi degli uomini più preparati. Per questo, il Reich aveva scelto proprio chi aveva ricevuto un'educazione d'eccellenza. Giuristi, dottorandi in economia o in storia, giovani laureati in blasonate università - come quella di Heidelberg e di Jena - costituirono un'élite di intellettuali che, pur non rientrando nella cerchia degli uomini più fidati di Hitler, svolse un ruolo fondamentale nello sterminio degli ebrei, operando sia dal punto di vista teorico che come apparato di esercizio quotidiano del potere. Ma cosa li spinse a mettersi a servizio del nazismo? L'originale, e controversa, tesi di Ingrao è che la generazione di tedeschi, ancora bambini nel primo dopoguerra, non ha mai "elaborato il lutto" della sconfitta. Tanto più quelli provenienti da aree di confine che subirono occupazione ed espropri, come raccontano le travagliate biografie dei tanti intellettuali delle SS raccolte nel libro. Il messaggio nazista rappresentò il transfert di una rivincita anche ideale, un sogno di perfezione che portava a termine il progetto che la Prima guerra mondiale aveva interrotto: un invincibile "Grande Reich millenario".
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