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Da Cellere a Capalbio. Fatti e misfatti del brigante Domenico Tiburzi. Storia in ottava rima
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Sono trascorsi oltre cento anni dalla scomparsa di Tiburzi ma lui rimane per tutti la leggenda vivente della Maremma. Si racconta che nelle notti di luna piena, battute dal vento gelido di tramontana, a cavallo di un argenteo sauro maremmano, il "re di Montauto e del Lamone" guadi ancora il fiume Fiora in cerca di un rifugio, in cerca di pace, in quelle macchie sperdute che l'avevano visto dominatore incontrastato nella sua vita avventurosa ed errabonda, durata ben ventiquattro anni. Anni difficili che vanno dalla fuga dalle saline di Tarquinia (1872), alla morte nel casale delle Forane presso Capalbio (1896), senza considerare il periodo trascorso in libertà dall'omicidio di Angelo del Buono (24 ottobre 1867) alla sua cattura (15 settembre 1868), in piena epoca pontificia. Un brigante vissuto tra "due regni", come ci piace ricordarlo, da Pio IX, sovrano dello Stato della Chiesa a Vittorio Emanuele II, re d'Italia.
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