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Giardini. Riflessioni sulla condizione umana
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Cos'è che risveglia nel genere umano l'anelito alla ricreazione del Paradiso perduto? Capolavoro inimitabile, imitazione improbabile, eppure ogni neonato giardino del mondo rinnova la sfida impossibile, tentando di riprodurre quell'impronta divina. Questa è la riscoperta d'una domanda perduta e ritrovata da Robert Pogue Harrison, che risponde, aprendo per noi i giardini delle meraviglie, ovvero la rassegna delle imitazioni, come farebbe un mago comparativista. In questo "romanzo dei giardini" l'Eden è il protagonista, anche zoologico, segue l'Academos platonica, poi il giardino "privato" di Epicuro dove si coltiva "l'in sé e per sé". La lunga sequenza ci conduce fino a Versailles, e forse a Bomarzo, e ad altre mete della mente girovaga, come i campus universitari contemporanei, cosiddetti vivai d'intelligenza. L'autore è un "coltivato giardiniere" di piante mentali, che ci porta in giro a bordo della sua scrittura, sorprendente come un ottovolante, di giardino in giardino. Dove i cancelli della superstizione sbarrano l'accesso ai giardini sapienti, l'autore ermeneuta, corredato degli strumenti del fabbro, li apre con le ingegnose chiavi del giardinaggio filosofico. Inevitabile che i giardini evochino il ricordo del Paradiso perduto, ma allo svelamento del segreto si contrappone la censura del verde ombreggiato dalla controra. Nei luoghi dell'architettura botanica si vive in uno spazio senza tempo, quasi eterno: questo è l'ovvio segreto che ci rivelano le piante, mentre tutti cercano il non tempo che non c'è, trovando solo l'eternità indifferente della natura. Incanta l'esempio della poetessa che immagina che il frutto mangiato da Eva sia stata una melagrana, e i semi contenuti nel frutto proibito la renderebbero, oltre che nostra progenitrice, anche madre della flora tutta. In quest'opera la botanica diventa la livrea allegorica delle filosofie e delle branche scientifiche: ultima meta vincente del libro." (Valentino Zeichen)
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