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Gli intellettuali/scrittori ebrei e il dovere della testimonianza. In ricordo di Giorgio Bassani

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Un'umanità che dimenticasse Buchenwald, Auschwitz, Mauthausen, io non posso accettarla. Scrivo perché ci se ne ricordi": così Giorgio Bassani a chi gli chiedeva notizie sull'origine della sua scrittura. Guidata da queste parole Anna Dolfi ha costruito un tessuto di suggestioni che hanno spinto studiosi italiani e stranieri e persino alcuni protagonisti a riflettere su narratori, poeti, saggisti, storici, filosofi, editori, artisti, che dalla storia di una difficile appartenenza sono stati indotti a una sorta di fatale, testimoniale dovere morale. Ne è nato un libro che, partendo dalla tradizione ebraica antica, da leggende rivissute in chiave politica e libertaria, dopo il romanticismo e l'Ottocento tedesco porta in primo piano le moderne voci della letteratura/cultura europea e nord americana, della tradizione yiddish e orientale. A ricorrere sono i nomi della grande intellettualità ebraica della mitteleuropa, di Canetti, Schulz, Dòblin, Antelme, Wiesel, Sebald, Oz, Grossman, Nelly Sachs, Irene Némirovsky, tra gli italiani quelli di Loria, Natalia Ginzburg, Giacomo Debenedetti, Cesare Segre, soprattutto di Giorgio Bassani e di Primo Levi che, per serbare memoria della tragedia della persecuzione e della Shoah, hanno scelto di collocare la loro intera opera "entre la vie et la mort". Inducendo a ricordare come il dovere di testimoniare si leghi all'affetto e al lavoro del lutto, all'effetto duraturo di una ferita immedicabile che ha nutrito la connessione tra la verità dell'accaduto e quello che si potrebbe chiamare il vero della creazione, "le vrai du roman".
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