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Gramsci e la massoneria. L'intervento del leader comunista nel dibattito alla Camera sulla legge contro la massoneria
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A compimento di un'ininterrotta sequela di aggressioni e violenze contro uomini e sedi del Grande Oriente d'Italia, entrava in vigore il 26 novembre 1925 la legge sulla "Regolarizzazione dell'attività delle associazioni e dell'appartenenza alle medesime del personale dipendente dallo Stato", immediatamente definita dagli stessi giornali fascisti, e così passata alla storia, come la "legge contro la massoneria". Prevedendo infatti il licenziamento degli impiegati civili e militari dello stato o di qualunque altra pubblica amministrazione "che appartengano, anche in qualità di semplice socio, ad associazioni, enti od istituti costituiti nel regno, o fuori, od operanti, anche solo in parte, in modo clandestino od occulto o i cui soci sono comunque vincolati dal segreto", la legge rispondeva al deliberato proposito di infliggere un colpo mortale a un'istituzione ormai da tempo saldamente attestata sul versante dell'opposizione al governo Mussolini. Una legge le cui implicazioni illiberali sfuggirono allora a molti ma non a un osservatore dell'acume del deputato comunista Antonio Gramsci, il cui intervento alla Camera il 16 maggio 1925 costituì una lucida quanto coraggiosa denuncia della deriva liberticida che, con la messa in discussione del diritto d'associazione, si veniva a innescare. Prefazione di Stefano Bisi. Introduzione di Santi Fedele.
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