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Il cane che avrebbe dovuto chiamarsi Fido

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Torino, un Natale povero di neve. Riccardo Martini è pensionato per la seconda volta: dopo avere lasciato il lavoro, si è occupato del nipote che però ha ormai raggiunto l'età dell'autonomia, pertanto anche questa seconda attività non ha più motivo di esistere. È vedovo, ha pochi amici e le sue giornate sono sostanzialmente vuote. Non è un tipo che piange su se stesso, si sente ancora in forma anche se non sa in che direzione orientare le sue energie e la sua voglia di vivere. Il fulmineo attaccamento a un cane che inaspettatamente compare nella sua vita, così come il piacere di giocare con lui in parchi inondati di sole invernale, fanno comprendere quanto l'uomo fosse in verità solo con se stesso. Su questa relazione uomo-animale, infatti, si riflette la condizione di solitudine del protagonista, la sua forzata inattività che, nel corso delle vicende narrate, lo porterà a compiere delle scelte "investigative" rischiose per la sua incolumità. Il protagonista infatti, un po' casualmente e un po' per curiosità e affetto per la bestiola, si troverà al centro di una rete di misteriose scomparse, che lo porteranno a vivere emozioni e peripezie fino ad allora non provate nella sua ordinaria vita da impiegato. La narrazione inizia in maniera ironica per tingersi via via di giallo, fino ad assumere i toni di un thriller.
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