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Il gesto e la traccia. Interazioni a posa lunga
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Una pratica eretica attraversa come un fantasma i muri della fotografia. Si tratta di quel segno-traccia, conseguenza del lungo tempo di posa, che in parole povere tendiamo a definirei "mosso". Le analisi del mosso si limitano spesso a collocarne il senso solo fra l'incidente (l'errore, il caso fortuito) e l'espediente (la coloritura retorica, la simbologia), manca quindi un'analisi di tutti quei lavori in cui il segno-traccia è utilizzato in maniera sperimentale e consapevole per testare i limiti del fotografico. Gli esperimenti a posa lunga forzano il linguaggio della fotografia alla ricerca di polarità le cui risonanze lo portano a intersecarsi con questioni teoriche che vanno dall'estetica alla psicanalisi, passando per l'antropologia e la teoria dell'arte. Si parte dal problema della resa sensibile di tempo e movimento (Henri Bergson e Gilles Deleuze, Anton Giulio Bragaglia e Francis Bacon), fino al tempo delle sopravvivenze di Aby Warburg. Si continua con l'interazione fra spazio, corpo, figura e sfondo dove, dal chiasma fenomenologico di Maurice Merleau-Ponty, si giunge alla confusione fra soggetto e ambiente che ha ispirato gli studi sul mimetismo animale di Roger Caillois e il celebre seminario sullo sguardo di Jacques Lacan. Con la sperimentazione i poli della fantasia e dell'immaginario sono preponderanti, prima di tutto con Sigmund Freud, dal luogo del fantastico si transita verso il rapporto profondo che l'uomo intrattiene con l'immagine.
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