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Il sintagma discontinuo. Possibilità, poteri, diritti

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L'ipotesi teorica che pone tra loro in relazione - di coerenza o di compatibilità - evoluzionismo, genetica, neuroscienze, meccanica quantistica, teoria dei sistemi operativi, sociologia della tecnica, linguistica e molto altro, strutturando così il fondamento di una nuova e più ampia visione filosofica dei fenomeni giuridici, può essere definita come super-teoria o ultra-teoria, mutuando dal lessico di filosofi in questo libro soltanto citati, come Mario Losano e Roberto Unger. Una super-teoria cerca spiegazioni esaurienti e metodiche, un'ultra-teoria rifiuta il tentativo di sviluppare un sistema teoretico, senza tuttavia indulgere alla paralisi intellettuale. Entrambe provano a individuare e descrivere reti di relazioni discorsive tra saperi specialistici. Volendo classificare questo studio, si può dire che esso sia un tentativo di costruire un'ultra-teoria, offrendo una nuova prospettiva critica al pensiero che problematizza l'esperienza giuridica. Molti temi e argomenti sono appena accennati, altri tornano nella trattazione con ripetitività, quasi che l'autore non sia soddisfatto della prospettiva unilaterale e cerchi prospettive multiple. "Il sintagma discontinuo" è un discorso che contiene un altro discorso, è - in effetti - una prospettiva multipla che abbraccia molti discorsi senza rinnegare il dogma della specializzazione di saperi scientifici, culture, linguaggi. È un punto di vista sulla città, in senso leibniziano, che ambisce all'approdo verso una teoria antropo-sociale del diritto. La riflessione di Orazio Ciliberti - un giudice italiano sessantenne che, dai tempi del liceo e dall'incontro con un maestro al quale dedica il libro (Gerardo De Caro, a sua volta allievo di Giovanni Gentile), non ha mai smesso di studiare filosofia e per la prima volta, nell'età matura, si cimenta con un lungo scritto filosofico - è piena di spunti stimolanti, intuizioni, ripetizioni avvolgenti, ma non è propriamente una teoria, è piuttosto una ricerca delle ragioni profonde, delle connessioni, anche etimologiche, delle parole e dei discorsi tra loro. È lo scritto di un giudice che, ispirato dal "Nietzsche" di Martin Heidegger, pensa alla giustizia come all'estremo compito della filosofia. Presentazione di Fiammetta Fanizza.
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