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IL Teatro di G. B. Niccolini
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Excerpt from IL Teatro di G. B. Niccolini: Studio Critico-Estetico
Stoso colla sua vena scintillante ed abbondevole vivifica 'a e rinnovava qualunque tema cui volgesse l'anim'ò, fermava in quel tempo la sua dimora in Italia, ed il suo esempio doveva riuscire tanto più efficace in quanto, come attesta nella prefazione al poema tragico teste ricordato, era alle famose unita della scuola classica temperatamente favorevole. Se non che, oltre alla eventuale mancanza d'in gegni adatti ed alla malefica virtù del pregiudizio, lo sviluppo d'un grandioso teatro tragico italiano schietto potente e libero poteva trovare un ostacolo gravissimo nelle condizioni politico-religioso-sociali del paese. Dopo la catastrofe e beffa del '15, gl'ita liani dovunque si volgessero non trovavano che ragioni di fremere e maledire di modo che gli spi riti fiacchi od illusi erano indotti a restringersi a cantar nenie conventuali, agli schiusi alla tempesta e sacra irruenza della vita, agli scrittori di fibra incrollabile non'resta 'a che emettere una nota e spremersi tutti in pianti e grida di ribellione e di dolore. Ma supponiamo anche che alcuno (l'ingegno eminentemente superiore e gran cuore avesse po tuto conservarsi così sereno da proporsi, come s'ad dice a chi vuole di drammatico far opera sincera, la riproduzione oggettiva della vita. Che gli sarebbe riuscito di fare, col mucidume, colle brutture che si vedeva attorno? V'è anche l'iniquo, lo scellerato, sublime. Ma qui in Italia il cattolicesimo più tiran nico, l'ascetismo più morboso e gretto e pestifero, in tre secoli di rincrudimento avevano fatto ogni sforzoper render gli uomini deboli, ignobili, per levar dalla vita e dal pensiero quanto vi fosse di fremente e di luminoso. Così si spiega la nausea del presente, l'austera schifezza per cui i migliori intelletti di quei tempi erano stati costretti a cercare una distrazione ed un rifugio esclusivamente nelle stupende reliquie d'un mondo ben diverso pervenuteci per la stereo tipia dei capolavori delle letterature greca e ro mana. In altri tempi pur miserandi avevamo almeno in nobili prepotenti e prelati sacrileghi avute figure umane maschie e solenni nella loro empiezza. In Inghilterra, in Germania, nella sanità e libertà del protestantesimo, erano possibili tipi perfino quali un Vicario di Wachefield, un cu 'ato di Che dirò di donne pur magnanime e nobili nel loro fervor religioso, come la Caterina dell'a rrigo VI I I 2' Almeno avessimo avute grandi cortigiane, quali bril lano e profondamente interessano in diversi drammi dello Shakespeare, del Goethe, dello Schiller. No! Qui nessun carattere, non un segno di forza anche malefica! Il tragico italiano si trova 'a perduto in un mondo d'uomini inetti, vili, nulli, di bigotte schiocchissime, di zotici preti, di suore e meretrici volgari e frati meschini: per il che, per la conce zione di grandi figure virili e femminee tragediabili, doveva contentarsi di lavorare (l'immaginazione ed arzigogolar sui libri. E dopo vinte tutte queste dif ficolta, ecco scandalizzato il vulgo, quello oppresso.
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