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La ragione negli affetti. Radice comune di logos e pathos
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A prima vista, il percorso dell'etica occidentale appare segnato da un'ostilità irriducibile tra logos e pathos. L'affanno filosofico principale sembra dovuto al tentativo di limitare il commercio con le passioni, assumendo il controllo razionale dell'esperienza. Ma più il logos ha cercato di mantenersi puro, più le passioni si sono scatenate, divenendo il controcanto della ragione. Oggi l'antica discordia si è lentamente trasformata in una separazione senza ritorno. Così, da una parte, il pathos è celebrato nella forma privata e insindacabile dell'emozione, dall'altra, il logos si muove entro la corta misura della ragione scientifica. Dipende dalla premessa: se il pathos è "alogon", cioè un "altrove" irrazionale della razionalità, allora è impossibile rimediare a un'estraneità così radicale. Se l'affettivo è concepito come un modo di funzionare che è proprio della ragione, se pathos e logos hanno una radice comune, allora c'è spazio per comporne l'unità. Muovere da questa seconda premessa non pare insensato: persino coloro che hanno inteso difendere la purezza della ragione, come gli Stoici, Platone, Descartes, Spinoza, Kant, non sono così lontani dall'idea di una primordiale e reciproca afferenza di logos e affettività. Idea che la tradizione classica è stata capace di pensare e che la fenomenologia ha in qualche modo reinventato accreditando la consapevolezza che una soggettività razionale finita, situata in un corpo, è pensabile a partire dalla presenza della ragione negli affetti.
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