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Lassù nella Trieste asburgica. La questione dei regnicoli e l'identità rimossa

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Trieste, agli inizi del Novecento, era un caso singolare: una città di immigrati arrivati per la maggioranza dalle regioni contermini, il Goriziano e la Carniola, l'Istria, la Dalmazia e il Regno d'Italia. La storiografia indica per i regnicoli un dato che oscilla fra le 38.000 e le 50.000 presenze allo scoppio della Grande Guerra, su una popolazione di 243.000 abitanti. Erano facchini e operai, impiegati, caffettieri, osti, camerieri, molti i sarti e i barbieri, marinai, capitani e armatori, ma anche tipografi e giornalisti, proprietari di opifici, negozianti, agenti di commercio, di cambio, banchieri e possidenti. La componente più numerosa proveniva da Friuli, Carnia, Cadore e Veneto, significativi gli arrivi da Venezia e Chioggia, dall'Emilia e dalla Romagna, in particolare da Modena, Ferrara, Ravenna, Rimini, e dalla costa marchigiana, Pesaro, Senigallia e Ancona, molti gli arrivi dalla Puglia costiera e dalle Murge, inoltre dalla Calabria, dallo stretto di Messina, da Catania e Castellammare, pochi gli arrivi da Liguria, Piemonte, Lombardia, sporadici da Toscana e Campania. Uomini, donne, e intere famiglie che avevano scelto di emigrare per necessità, spinti da migliori opportunità economiche o per ragioni politiche. Ci sono fra i regnicoli garibaldini e mazziniani, socialisti e anarchici, ma la maggioranza resterà estranea alla politica e agli scontri nazionali. L'Europa fino alla fine dell'Ottocento è la prima destinazione della grande emigrazione italiana post-unitaria, e l'Impero austro-ungarico è la seconda meta. Da Trieste, inoltre, si salpava per le Americhe. Prefazione di Cristina Giudici.
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