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Metafore per restare umani. Su bioetica, linguaggio e mutazioni genetiche

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Un saggio che ripercorre genesi e storia concettuale della metafora, dall'antichità a Ricoeur, tentando di "collaudarla" nel dibattito attuale sulla bioetica e dentro la concreta esperienza medica. La metafora non è solo una figura retorica ma produzione di senso, creazione di un ordine nuovo, struttura connettiva. Descrive, secondo Aristotele, l'astratto nei termini del concreto: immette nel pensiero concettuale una dimensione narrativa, legata al mondo della vita. Il filosofo parla anche di una natura incompiuta e non infallibile a cui la technè può rimediare. L'ingegneria genetica punta a migliorare la (costitutiva) difettosità dell'uomo ridisegnandone il DNA, e realizza chimere, non in senso metaforico: costruisce creature combinando il genoma umano con quello animale. L'eugenetica sperimentata nei Lager riemerge da sotto le macerie del nazismo nell'asettico laboratorio del genetista. La metafora meccanicistica vede gli elementi costitutivi del mondo come perennemente riutilizzabili e conferisce all'uomo una illimitata possibilità d'azione. Organi generati da stadi precoci di vita umana in provetta sono trapiantabili. Al contrario, la metafora organicistica limita l'azione demiurgica dell'uomo: scomporre l'organico per ricombinarlo equivale ad alterarne le caratteristiche in modo non controllabile. La persona geneticamente modificata "HGM" può sentire di non appartenere al genere umano: cambia radicalmente la metafora della sua antropogenesi. La metafora mostra con immagini concrete gli abissi nei quali l'umanità può smarrire se stessa.
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