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Montale anglista. Il critico, il traduttore e la «fine del mondo»
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Partendo da una formazione fortemente legata ai modelli francesi, Montale si avvicina gradualmente alla cultura anglosassone, complice la sua forzata e non sempre gradita attività di traduttore. Anche in veste di corrispondente giornalistico le sue osservazioni di cronista e interprete della società contemporanea si soffermano spesso sui paesi d'oltremanica e d'oltreoceano per indagarne il ruolo nel sistema culturale d'Occidente. Viste da una prospettiva d'insieme, opere apparentemente slegate come traduzioni, prose critiche, prose narrative e poesie in qualche modo di ambientazione angloamericana fanno straordinariamente corpo e rivelano molteplici interconnessioni. Di particolare interesse i lavori dedicati ad Eliot, a Shakespeare, a Dickinson, a Pound e molti altri. Un suggestivo percorso critico porta Montale a riscoprire, «fuori di casa», frammenti della propria tradizione letteraria (a rileggere, ad esempio, Dante attraverso Eliot e Pound). Visti come «acme indiscusso» della civiltà occidentale, Inghilterra e Stati Uniti mostrano più chiaramente i pericoli della tecnocrazia e della disumanizzazione configurate come vera e propria Apocalisse, tematica fondamentale per comprendere l'ultima produzione in versi e in prosa di Montale. Per questo motivo le lucide analisi dei modelli letterari inglesi, accompagnate spesso da traduzioni elettive di straordinario spessore poetico, diventano sede di una riflessione quanto mai serrata e attuale sul ruolo della cultura in Europa, sulla circolazione di idee e opere letterarie e forse sul destino stesso dell'arte in un mondo sempre più governato dalla pervasiva sovranità tecnologica.
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