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Notturni, piraterie e allunaggi
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In Italia non è cosa facilissima abbracciare la professione dell'illustrazione: spesso è la stessa professione dell'illustrazione che non ricambia l'abbraccio. Tanti aspiranti, tanta offerta, ma il mercato nazionale nicchia, tende a essere poco generoso, un po' distratto, magari per comodità esterofilo. Non è cosa facilissima emergere in questo mare. Gianni De Conno ci era riuscito. E non solo nel Mare Nostrum ma pure in acque straniere, vicine e lontane, tante. Non galleggiava, lui, navigava sicuro. E ciò aveva, come accade, molte ragioni. Gianni - continuiamo a chiamarlo così col suo solo nome, con tranquilla confidenza, perché chi gli era amico ben conosceva e apprezzava la di lui confidenza, tanto tranquilla per l'appunto - aveva saputo imporsi sulle mappe dell'illustrazione internazionale esattamente come un porto sicuro, tanto per le sue qualità professionali quanto per quelle umane. Il suo stile era riconoscibilissimo: così lo stile di disegno, d'immaginario, come lo stile di condotta, di vita. Era persona riservata, educata, di poche parole pronunciate a voce bassa. Non era tipo da dire tutto, si capiva che teneva molto per sé, in riparato segreto. Si muoveva anche senza fretta. Sorrideva con amabile misura. Tutte caratteristiche piuttosto rare, oggi. Tutte caratteristiche che, sì, si riverberano nella sua opera grafica. Gli studi giovanili di Gianni, nella sua Milano, possono aiutare a capire qualcosa di più su di lui: prima il Liceo Artistico, poi il Conservatorio Giuseppe Verdi e infine la Scuola del Cinema. Disegno, musica, scenografia. Ecco qualche perché di quelle sue immagini così scenografiche e così musicali. Messinscene studiate, ordinate, armoniose. Scene mai chiassose - dove volentieri le ombre prevalgono sulle luci. Spazi ampi, anche vuoti. Silenzi. E se deve esserci colonna sonora, te la immagini di poche note, sostenute, lunghe. Riservatezza d'uomo, segretezza d'artista, lentezza di fascinazione. La sua padronanza tecnica - al momento giusto trapassata senza trauma alcuno, e senza perdere magia, dai tradizionali oli e acrilici alla pittura digitale - gli permetteva di dare corpo e morbida materia a figure ferme, consapevoli di sé stesse, in qualche misura altere, ma benigne, forse timide, meditative, ragionevoli, sempre degne di rispetto. Le pacate stesure cromatiche, digradanti in dolcezza dai chiari agli scuri e viceversa, sono tutte insufflazioni delicate d'atmosfere. Talvolta, a suggerire qualche problematicità inattesa, le luci piovono dall'alto, o di sbieco, a tondeggiare in modi inusuali le forme, a marcare (e pertanto per contro evidenziare) quanto resta nascosto nelle zone più oscure. C'è sempre, aleggiante, una quota di mistero. La lenta immersione in altri mondi che si dispiega nelle immagini di Gianni regala la stupefazione - un po' debitamente incredula e un po' incredibilmente convinta - tipica del sogno." (Ferruccio Giromini)
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