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Per una nuova edizione commentata della «Divina Commedia»
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Il testo de "La Divina Commedia" costituisce, com'è noto, uno dei problemi più ardui e di più difficile soluzione della filologia italiana, in tutto l'arco - dalle Origini alla contemporaneità - della produzione letteraria realizzata in Italia, non solo in lingua italiana. Perduto ogni autografo dantesco, noi leggiamo tutte le opere di Dante in copie più o meno tarde, più o meno fortunosamente tramandate, con aggravanti di vario tipo: per alcune ("Convivio", "De vulgarì eloquenti") dovute al fatto che la tradizione trae probabilmente origine da copie di lavoro incompiuto, manoscritti tormentati, con correzioni non facilmente decrittabili, che hanno prodotto incertezze di lettura, fraintendimenti, lacune, per altre ("Vita nuova", "Rime"), in ragione della varietà delle tradizioni, singolari o per gruppi più o meno consistenti dei singoli componimenti, con frequente interferenza di rime spurie (da riconoscere come tali ed espungere dal corpus dantesco), contaminazioni, alterazioni varie, nella "Commedia", per le modalità della trasmissione del testo. Pubblicate le tre cantiche, con ogni probabilità, in tempi diversi (l'"Inferno" e il "Purgatorio" tra il 1313 e gl'inizi del 1314, il "Paradiso" postumo, forse nel 1322), il poema incontrò subito grande favore del pubblico, esploso alla notizia della morte dell'autore, nel settembre 1321. La richiesta di esemplari dell'opera si intensificò in tutta Italia, con una domanda pressante che determinò la nascita di una vera "industria" della copia, soddisfatta con le possibilità del tempo. Moltiplicandosi i copisti si moltiplicarono gli esemplari di copia e gli esemplari prodotti, ognuno portatore degli errori del manoscritto di provenienza e di quelli aggiunti dal nuovo copista: falli tipici di ogni atto di copia (dovuti a fraintendimento nella lettura, nella memorizzazione, nel dettato interno, nella trascrizione) e falli dovuti alla iniziativa "emendatoria" del copista, che laddove non capiva - e molti erano i luoghi che potevano apparire oscuri, in un'opera nuova e "difficile" come la Commedia - s'industriava di correggere l'errore che in realtà non c'era, introducendo una "semplificazione" (dunque una alterazione) nel testo, oppure adottando una lezione alternativa di altro manoscritto, che era in realtà un non meno arbitrario "emendamento" portato in precedenza da altro copista. Questo meccanismo, ripetuto per centinaia di luoghi in migliaia di manoscritti (circa 800 sono quelli conservati, su una stima di oltre 2000 prodotti), ha procurato danni tanto più gravi, in quanto sono perduti tutti i manoscritti autografi di Dante, di tutte le opere, e manca ogni possibilità di verifica dell'autentica "volontà dell'autore".
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