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Pseudo-Paolo. Lettera di san Paolo apostolo a san Pietro

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Davide Brullo ha costruito un libro di teologia, un libro spirituale, inventando una falsa lettera di san Paolo indirizzata a san Pietro, immediatamente lasciando intendere uno scontro a fuoco tra fede e l'istituzione che la sovrintende. Il libro è strutturato come fosse un'edizione critica della «Lettera» e che perciò comprende un'introduzione (la quale spiega anche le ragioni autobiografiche che hanno condotto l'autore dello studio a occuparsi dell'apocrifo), la «Lettera» stessa (arricchita con note che ne esplicitano il significato), un commento e infine un'appendice, che testimonia le influenze che la «Lettera» ha avuto, in maniera più o meno nascosta, nella letteratura - ma anche qui, se i nomi sono veri, i testi sono altrettanto apocrifi, nel senso che è la stessa penna di Brullo a mimetizzarsi dietro quei celebri scrittori. Se non possiamo fare a meno di pensare, per restare in Italia, al Manganelli della Letteratura come menzogna, non dobbiamo dimenticare che il vero modello del libro è in realtà il "Quinto evangelio" di Mario Pomilio, il romanzo che nel secondo Novecento ha espresso, fuori da ogni ideologia, una ricerca della verità che si ripete nella vita di ogni uomo dopo la parola data: la voce di Cristo così come l'abbiamo imparata dalla lettura dei quattro vangeli. Il "quinto" vangelo è insomma quello che ogni uomo scrive cercando la verità. Brullo, su questa scia, vuole restituire un pensiero sul senso del cristianesimo. Attraverso la lettura della «Lettera» che lui stesso ha inventato, rivendica un rapporto con Dio che sia diretto e problematico, in continua tensione. Fa scrivere allo pseudo-Paolo che la Chiesa è un'istituzione destinata a finire, che è di fatto solo una consolazione per i fedeli. Lo pseudo-apostolo radicalmente afferma che non aver conosciuto Cristo direttamente è il messaggio stesso che Dio, scendendo sulla terra e morendo sulla croce, ha voluto trasmettere: ovvero che occorre dimenticarsi dello stesso Cristo per poterlo rivivere nel proprio sangue, nel proprio corpo, nella propria esistenza. Rifiutarsi insomma di invocarlo o di credere che i vangeli siano un prontuario morale da seguire: perché ciò che è necessario è viverlo, vivere la parola di Dio in noi stessi. Brullo, che dimostra di avere una profonda conoscenza dei testi sacri e della patristica, riuscendo a connettere queste sue conoscenze anche a quelle letterarie, ha scritto un libro di grande forza di significati, e lo ha fatto con quella consapevolezza e quell'originalità che appartiene solo agli scrittori di innato talento." (Andrea Caterini)
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