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Q. e l'allodola
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Vi è in questi versi un'allusione acuta a una delle due salite, a scelta, della 'Divina Commedia'. Qui, l'autore traversa una foresta oscura o un limbo, che sono costituiti dalle congetture della metrica, delle strofe, dell'avvalersi di terzine e nominando persino i versi alessandrini. Lo scorrimento del percorso avanza lucidissimo, invocando anche la sapienza prossima alle intelligenze di Wittgenstein. Dietro ogni tornante dell'avanzamento, pur impreziosito dalla quota e dalla levità dell'ossigeno, compare implacabilmente lo stesso paesaggio. La totalità delle sperimentazioni è lì presente e non sembra muovere passi avanti. Ecco perché la bile pare essere l'unica possibilità del poeta, uno sgradevole quanto generoso filo verdastro, che non consente, se non per isolati respiri, l'uscita dal labirinto. Mascolo, che sa della stagnazione tremenda della poesia italiana, e forse occidentale, attuale, non a caso si aggrappa ai corrimano dei giovani compositori musicali, per ossigenarsi di più. Sembra incredibile, ma è chiarissimo, che persino Queneau, maestro e giocoliere degli stili, diventi per Vincenzo Mascolo un Virgilio asciutto di risorse, come il deserto lo è dell'acqua. Sono questi i versi della consapevolezza di un tempo poeticamente frenato, che intorno al freno cerca l'unica apertura verso una letteraria possibilità. Ecco l'omega. L'amor che move il sole e l'altre stelle è la siderale e terragna allodola canterina dell'infanzia, ma il suo eventuale canto è più quello elegante delle sirene che non l'altro, coatto, del millennio terzo, nostra meraviglia." (Guido Oldani)
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