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Quel Roma-Liverpool di un mercoledì da cani
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Incassato il ko ce ne tornammo a casa. L'uscita dallo stadio era una processione mesta. Si sentiva solo la risacca di caffè Borghetti che scorreva sotto i piedi della gente che sciamava. Il tintinnio dei cilindretti di plastica che rimbalzavano sull'asfalto, passando dì piede in piede, in una continuazione subliminale di partita. Attraversammo tutta la città a piedi. Tiravamo come i protagonisti di 'The Day After', sopravvissuti a un disastro emotivo. Ci muovevamo in una metropoli cristallizzata nel momento del rigore decisivo, li tiro finale di Kennedy era straripato dallo stadio con lo stesso effetto dell'eruzione su Pompei. lungotevere, Circo Massimo, Terme di Caracolla e poi tutta la via Cristoforo Colombo fino alla Piera dì Roma. Arrivammo a casa che era quasi mattina. Al Circo Massimo, davanti al megaschermo dal quale avevano seguito la partita in centomila, c'era Antonello Venditti che avrebbe dovuto celebrare il trionfo. Suonava e cantava lo stesso, malgrado la tristezza, ma noi decidemmo di non fermarci. Tornammo a casa, io e mio fratello, senza dire una parola. Camminavamo sulla Cristoforo Colombo deserta, e tenevamo ancora strette fra le dita le bandierine gialle e rosse distribuite in curva prima della partita perla coreografia. Una per mano, come due segnalatori pronti a indicare la posizione di una improvvisata pista di atterraggio. Eravamo ancora con la testa sul prato dell'Olimpico prima del tiro di Kennedy". Prefazione di Bruno Pizzul.
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