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Tutti i racconti
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La prima cosa che incontra il lettore che si imbatte nei racconti di Carrara è una scrittura attenta ai dettagli fino a generare effetti di disturbo paranoide, dove a volte una strategia che, per l'accumulo di dati, potremmo definire di compressione, si apre ad un esito che lungo la direttiva euforica della verticalità dispiega un contrasto fra ciò che è in basso - e in basso di solito c'è una forma greve di delirio, stati alterati di coscienza per droga, alcol o per la rabbia che in Carrara è dappertutto - e un firmamento che attira magneticamente lo sguardo, ponendosi come luogo utopico di dispersione e cupio dissolvi. Chi conosce Carrara per II branco, il romanzo che gli ha dato notorietà, privilegerà il descrittore dei sobborghi e delle periferie, dell'hinterland della metropoli e della gente che vi vive. Si tratta di una geografia sociale universale, perché ovunque vi sono periferie depresse. I personaggi sono tutti dei balordi: ecco il "tipo" umano che da sempre Carrara descrive e che forse è la versione estrema e radicale dell'italiano "normale". Non basta dire che il balordo è chi, nel giro di minuti, ore o al massimo di qualche giorno viene assalito dalle furie e si trasforma in una specie di invasato. Al centro della questione c'è il rapporto fra pensiero e violenza, fra raziocinio e protervia. Balordo è chi esegue l'ordine aberrante che gli ha dato il cervello senza curarsi delle conseguenze, né della dismisura che tale atto comporta. È una mente che agisce comunque, indifferente all'incoerenza o inutilizzabilità dell'ideologia che la domina. I personaggi di Carrara hanno statura e sono, a loro modo, uomini superiori perché vogliono fare grandi cose e poi le fanno, con la particolarità che le loro azioni rispondono alle esigenze aberranti di sottoculture depresse, comprese quelle goliardiche, pseudo-mondane, ipo-letterarie e così via. È per questo che la maggior parte dei racconti stampati in questo volume innesca una catastrofe che sfocia in un teatro della crudeltà e in una gogna." (dalla postfazione di Fabrizio Ottaviani)
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